Francesco D’Isa, Enrico Pitzianti ed Edoardo Rialti – L’Indiscreto. Il fine del mondo

Recensione

“L’Indiscreto. Il fine del mondo” – Francesco D’Isa, Enrico Pitzianti, Edoardo Rialti (a cura di). Primo Numero. Tlon Edizioni, 2022.

La rivista online “L’Indiscreto”, edita dalla Galleria e Casa d’Aste Pananti, finalmente approda al cartaceo, grazie alla collaborazione di Tlon Edizioni (realtà editoriale benemerita, andate a spulciare il catalogo) ed è una gran bella notizia.

In un momento assai vivace, vedi “Cose” de Il Post o “The Passenger”, la straordinaria raccolta di reportage pensata da Iperborea o, ancora, “Sotto il Vulcano”, diretta dall’ex direttore Rai Radio3 Marino Sinibaldi, sempre più realtà editoriali sentono la necessità di tornare alla materialità del prodotto di carta e darsi così una nuova patina, privilegiando tempi di lettura più lunghi e contenuti selezionati, che sia il reportage letterario, la recensione critica di un qualche prodotto culturale o un’inchiesta più documentata, impossibile da ridurre a cronaca spicciola.

Insomma, in molti sfidano la corrente dei costi esorbitanti (e di un pubblico mobile, veloce, indecifrabile), gettano il cuore oltre l’ostacolo e intraprendono la strada a ritroso, non più verso l’aereo spazio della rete, ma nelle più fisiche librerie, edicole, biblioteche, laddove tutto può essere fruito seguendo i ritmi biologici di cui siamo in possesso.

Tuttavia, questo discorso, nel caso de L’Indiscreto, è in parte fallace: la rivista diretta da Francesco D’Isa è da tempo che offre articoli, saggi e riflessioni di ampio respiro (nel solco delle esperienze più prossime come Il Tascabile, Not.neroeditions e DoppioZero) confidando in una crescita dell’online complessiva, che sappia selezionare e fare da filtro in una babele di voci sovente in contraddizione per una comunità di lettori curiosi, appassionati e non occasionali.   

Gli articoli che impreziosiscono questo volumetto fungono da manifesto, una sorta di vetrina che aiuta il passante a meglio orientarsi nelle fughe in avanti, nei passaggi più ostici, nella comprensione di un’orchestra in cui ognuno esegue uno spartito non sempre in accordo con il proprio vicino.

Ogni numero, certo, si propone un tema, un filo che dettagli, decostruisca e ridisegni la mappa della nostra modernità, del mondo in cui viviamo ogni giorno e di cui pensiamo di sapere già tutto; questo filo, a uno sguardo più attento, sembra che innanzitutto serva agli autori, i quali dichiarano di appartenere a un “magazine inattuale”, come recita il sottotitolo della rivista, poiché condannati a un’efficacia messa in discussione dal rapido volgere degli eventi, in un orizzonte, quello della riflessione filosofica, che vive di rincorsa.

Nonostante le oggettive difficoltà i saggi contenuti in questo primo numero sono di un interesse estremo, oltre che bellissimi, il che non guasta: dalla geopolitica di Gary Lachman all’assenza di senso magnificamente descritta da Gianluca Didino, dall’apocalisse che incombe nel regno dei meme a cura di Bogna M.Konior alla ricerca della vita nel mondo che verrà illustrata da Roberto Paura, sono molteplici gli sguardi da cui osservare il tema definitivo: Il fine del mondo.

Guy Debord

È questo il titolo, il gioco filosofico di parole che sottende la riflessione di tutti gli interpreti, i quali oscillano ermeneuticamente da una parte all’altra, distorcendo, piegando le possibilità infinite di quell’articolo iniziale, “il”, che è un pretesto per parlarci di “scopo” o di “termine”, a seconda di dove si voglia andare a parare.

Discutere di questo primo numero è assai difficile ma se si deve necessariamente trovare una sintesi che riassuma l’indirizzo generale del volume, ci sembra di poterla rintracciare nella riflessione condotta da Raffaele Alberto Ventura che, in “L’insostenibile modernità, dalla follia dei romantici alla società dello spettacolo”, ci parla di finzioni, di simulacri, di una modernità sempre più faticosa, incartata, insostenibile per l’appunto. E lo fa rintracciandone i prodromi nella grande poesia tedesca dell’Ottocento di Holderlin, passando da Hegel e Adam Smith, per approdare, infine, a Guy Debord, il grande autore situazionista che con il suo “La società dello spettacolo” aveva predetto tutte le curve e le traiettorie dell’evo moderno.

Il filosofo francese, raffinato precursore di media studies, tratteggia una “teoria del collasso” non tanto del sistema capitalistico quanto dell’ordine della modernità, proprio utilizzando la categoria dello “spettacolo” che, nelle parole di Ventura, è la “modernità che nasconde le sue contraddizioni dietro una sintesi di facciata, cioè l’abbondanza, il benessere”. Contraddizioni ormai da tempo riemerse con prepotenza, che fanno parte della narrazione occidentale e del discorso pubblico dalla crisi economica del 2008 da cui l’Occidente non sembra essersi mai davvero ripreso.

Alla luce di quanto successo negli ultimi due anni, dalla pandemia all’accelerazione della guerra russo-ucraina, con un’inflazione che proprio in questi mesi aumenta vertiginosamente e chiede a milioni di cittadini duri sacrifici, appare superfluo sottolineare quanto Debord oggi sia estremamente utile a definire e mettere a fuoco il mondo che ci circonda, forse addirittura più che in passato. Un autore inattuale, Debord, esattamente come L’Indiscreto. Per questo motivo, preziosissimi entrambi adesso, qui e ora.

P.S. Con questo articolo, pur breve, vogliamo iniziare a parlare del Mondo che ci circonda, che ci riguarda e che, contestualmente, sfugge alla maggior parte di noi. A Dio piacendo, lo faremo con riflessioni personali, recensioni e chissà cos’altro. Metteremo a fuoco temi e argomenti che ci sembrano di qualche interesse. Senza privilegiare, come al nostro solito, un unico punto di vista; cercando, semmai, di approssimarci a quella pluralità di voci quel tanto che basta a trarne da essa un indirizzo, un aiuto, un appiglio. Ne abbiamo bisogno, crediamo di poter dire.