Nostalgia canaglia

Riflessione

Nonostante la sua apparente origine greca, la parola nostalgia non ha una storia molto lunga. Fu coniata dal medico svizzero Johannes Hofer nel 1688, il cui lavoro si focalizzava su una malattia tipica dei soldati svizzeri di stanza all’estero che si ammalavano spesso al solo ascolto della melodia di una canzone popolare.

Successivamente la nostalgia si è evoluta di pari passo alla modernità entrando nel registro di poeti e filosofi allargando i suoi confini, fino a quando la post-modernità ne ha segnato una nuova fase, consolidando il suo status di sintomo della condizione accelerata della contemporaneità.

Nel suo studio culturale The Future of Nostalgia1, Svetlana Boym distingue la nostalgia in “riparativa” e “riflessiva”. La nostalgia riparativa “pone l’accento su nostos (ritorno a casa) e si propone di ricostruire la casa perduta“. La nostalgia riflessiva, d’altra parte, “si sofferma sull’algia (dolore), sulla nostalgia e la perdita, sul processo imperfetto del ricordo“.

Dunque la nostalgia restaurativa si concentra sul ripristino del passato, ma non riesce a riconoscere che il passato idealizzato non è mai esistito. La nostalgia riflessiva apprezza il passato idealizzato, riflette sui suoi desideri e mostra le possibilità del farlo rivivere. La nostalgia è qualcosa di sfuggevole; in effetti è un concetto che non si fatica a riconoscere come paradossale. Comporta uno sguardo all’indietro nella storia, ma non verso un luogo o un tempo che sia necessariamente reale. Non appartiene né al presente, né al passato, né al futuro, e tuttavia rimane in qualche modo legata a tutte e tre le zone temporali. Ernst Bloch propone il passato come uno degli elementi fondanti dell’utopia: il futuro deve essere scoperto tramite le aspettative del passato. L’utopia è in sostanza, nostalgica2 e Bloch la descrive non come un sistema immaginario e ordinato, ma come frammenti sparsi che formano infinite esperienze. Secondo Bloch, dobbiamo stabilire nuove relazioni critiche e non correlate linearmente tra il passato, il presente e il futuro, per ricordare tutto ciò che non è stato ascoltato e che è caduto nell’oblio.

In tutte le nostre esperienze il presente è sempre confuso con il passato e il futuro, ciò che è presente è sempre confuso con ciò che è assente. Possiamo dare un senso a qualsiasi momento presente solo confrontandolo con il passato e anticipando il futuro. Per fare un semplice esempio immaginiamo di ascoltare una semplice melodia. In un istante specifico stiamo sentendo solo una delle note: solo una delle note è pienamente presente. Da solo, questo singolo suono non ha qualità melodiche e l’unico modo per dare un senso alla melodia, in quanto tale, è quello di mescolare costantemente la nota presente con le note che non state più sentendo da una parte e le note che state anticipando dall’altra. La melodia non è mai completamente presente ma nasce solo da un gioco tra passato, presente e futuro. Tutte le nostre esperienze sono così: possiamo dare senso al futuro solo attraverso il passato e dare senso al passato solo attraverso il futuro. Per questo, le nostre esperienze sono perseguitate da ciò che non esiste più e da ciò che non esiste ancora. le nostre esperienze sono spettrali in quanto possono essere assenti, eppure reali, in quello che Mark Fisher definisce come hauntologia.

Secondo Mark Fisher, a causa del dominio del neoliberismo, abbiamo raggiunto un’impasse culturale. Non si cerca più di anticipare il futuro per concepire nuovi mondi. Il neoliberismo ci chiede soluzioni a breve termine, risultati rapidi e la ripetizione di vecchie forme culturali già stabilite.

Naturalmente è vero che il progresso tecnologico non si è fermato e probabilmente sta accelerando, ma ecco la differenza cruciale: mentre in passato l’emergere di nuove tecnologie permetteva l’emergere di nuove forme culturali, oggi le nuove tecnologie sono subordinate alla ripetizione e al rinnovamento di vecchie forme culturali già stabilite.

La tecnologia conserva tutto, pronto per essere riesumato, rievocato e con più di 70 milioni di canzoni, Spotify, per esempio, rende disponibile quasi tutto lo spettro della storia moderna della musica registrata e rivela la natura fantomatica del tempo di internet. C’è ancora qualcosa che muore davvero?

Il modo in cui percepiamo i periodi artistici sta cambiando e gli elementi di storicità nell’era post-moderna si stanno perdendo in un caos estetico. Facendo una categorizzazione un po’ tranchant gli anni ’70 furono segnati dalla sperimentazione rock e punk, gli anni ’80 rifletterono l’uso di strumenti come i sintetizzatori, gli anni ’90 furono segnati dal grunge e dall’hip-hop . Possiamo ascoltare uno di questi generi essendo capaci di collocarlo nel tempo. Fisher vede questo tempo soggettivo come un modo di dare un senso alla nostra realtà e mettere in relazione una specifica manifestazione artistica con uno specifico periodo. Ma questi modelli in cui il tempo viene concettualizzato sono svaniti, lasciando in eredità un miscuglio di generi ed estetiche e l’incapacità di creare qualcosa di nuovo in maniera prorompente.

Non è un caso che nell’ultimo decennio abbiamo visto emergere nuovi micro-generi musicali come la Vaporwave, il Lofi Hip hop, Japan city-pop vengono creati campionando canzoni pop degli anni ’80 e ’90, colonne sonore di film e pubblicità e rallentandole, mettendole in loop, unendole in modi diversi e aggiungendo riverbero e il massiccio uso del plug-in RC-20 dell XLN Audio. Per quanto strano possano essere sembrati questi micro-generi quando sono saliti alla ribalta, essi riflettono perfettamente la nostra condizione culturale come la vede Mark Fisher. Il nostro sviluppo culturale ha rallentato, forse addirittura ha iniziato ad andare in loop all’infinito lasciando ritornare il passato.

L’ascolto di queste forme musicali fornisce ai fruitori odierni un senso di nostalgia collettiva. Gli ascoltatori sono nostalgici di qualcosa di diverso dai veri anni ‘80 o ‘90, ma di una forma chiaramente fittizia spesso ispirata da una cultura popolare che esiste solo nella loro immaginazione. Gli utenti interagiscono con le immagini per creare una “memoria” di tempi e luoghi che non sono mai stati (e mai saranno).

Negli anni ’80 Frederick Jamison criticava la condizione culturale post-moderna prevedendo che sarebbe stata sempre più caratterizzata da revivalismo e remix, indicando la narrativa postmoderna come astorica (e quindi politicamente pericolosa). Per Jameson l’esistenza di un soggetto autonomo era una parte essenziale della produzione artistica e culturale nei tempi moderni. Permetteva all’artista come soggetto di rivolgersi al suo consumatore. Ma l’individualità unica dell’artista, un principio fondante, è stata ridotta nell’epoca postmoderna a una forma di comunicazione neutrale e oggettivante. Con la frammentazione della soggettività non è più chiaro cosa debbano fare gli artisti e gli autori postmoderni se non un richiamo al passato, all’imitazione di stili morti, una “parodia vuota”3 senza alcun significato profondo o nascosto, una parodia che Jameson chiama pastiche. Il pastiche, come la parodia, è l’imitazione di qualche stile unico, ma è una pratica vuota e neutra.

Fisher si chiedeva:

“Perché l’arrivo del capitalismo neoliberale e post-fordista ha portato a una cultura della retrospettiva e del pastiche? Forse possiamo azzardare un paio di congetture provvisorie. La prima riguarda il consumo. Potrebbe essere che la distruzione della solidarietà e della sicurezza da parte del capitalismo neoliberale abbia portato ad una fame compensatoria per il consolidato e il familiare?

… L’altra spiegazione del legame tra tardo capitalismo e retrospettiva è incentrata sulla produzione. Nonostante tutta la sua retorica di novità e innovazione, il capitalismo neoliberale ha gradualmente ma sistematicamente privato gli artisti delle risorse necessarie per produrre il nuovo”4.

Sembra che non siamo più capaci di creare qualcosa che sembri futuristico o di immaginare o anticipare qualcosa di inimmaginabile. Il futuro è stato cancellato5 e l’aspetto hauntologico di ciò è che, ironia della sorte, per cercare di rivivere e riconquistare le speranze scomparse per il futuro, si ritorna al passato cercando di riscoprire il modo in cui si immaginava il futuro. Siamo più interessati all’estetica che possiamo imitare che all’estetica che siamo in grado creare. E’ evidente anche nei videogiochi indipendenti che prescindono dall’iperrealismo visivo e tornano ad uno stile pixellato tipico degli albori dell’arte videoludica. Per non parlare degli NFT: fra quelli venduti a prezzo maggiore ricordiamo le pixellatissime scimmie di CryptoPunk.

Dal punto di vista della creazione artistica musicale Burial (amato da Fisher) o SOPHIE sono stati sovversivi, quasi anti-hauntologici, ma mancano di alcune caratteristiche fondamentali come l’esplosiva popolarità e l’immediata riconoscibilità sonora rispetto ad un epoca. Caratteristiche che possiamo pensare appartengano alla trap. Ok la musica trap ha un grosso problema di sessismo, è un pastiche, un remix della musica rap degli anni 90 e in un certo senso evoca una speranza sbiadita per un futuro che non è mai arrivato, ma ha molti tratti non-nostalgici e riconoscibili rispetto ad un’epoca (struttura vocale, pattern di batteria, basso 808) che interrompono questo loop di futuro infestato e nostalgia.

La pratica stessa del campionamento e della riconfigurazione degli arrangiamenti musicali serve a sovvertire l’idea di una proprietà privata o intellettuale e l’artista come proprietario della propria arte, mettendo in discussione un modo di pensare che è inseparabile dall’idea di quello che consideriamo un soggetto autonomo – per tornare a Jameson – ma neoliberale.

E il futuro? Siamo il futuro, ma senza un futuro dice Massimo Pericolo, Faccio quello che voglio perché fra poco muoio gli fa eco Ketama 126. Quando a Sfera Ebbasta chiesero cosa ne pensava del disco fondante dell’Hip-hop italiano SxM, il trap boy dichiarò di non conoscerlo, quasi a tranciare nettamente con il passato. Come se il focus fosse profondamente nel presente, allontanando il passato e il futuro. Caratteristiche che collocano la trap contemporaneamente dentro e allo stesso tempo fuori il calderone hauntologico.

I trapper sembrano aver capito lo spirito del tempo, non si fanno travolgere dalla post-modernità, anzi la cavalcano proponendo la loro soluzione: facciamo soldi, ostentiamoli, tanto durano poco, tanto duriamo poco.

La trap è un prodotto che sa di esserlo, Noi siamo i soldi dice la DPG eguagliando l’arte al soldo consapevolmente.

Pazzi per soldi, sono pazzo pe’ i soldi / Muoio per soldi poi faccio ‘sti soldi / E poi sputo sui soldi, come avessi sti soldi / Parlo di soldi, i miei sono sordi, sentono solo se parlo di soldi, se parla di soldi, se parli di soldi / Parlano di soldi, pensano ai soldi Impazzire per soldi, solo per soldi / Vivere senza sti soldi e morire coi soldi. (Achille Lauro, In Paradiso – 2016)

Quattro Cristi al collo mi proteggono dai demoni dietro / Voglio un orologio costoso coi brillanti dentro / Renderà migliore il mio tempo, renderà migliore me stesso / Sai che indosso quegli euro sì, ma mica da adesso / Nessun patto col diavolo per il successo / Entro e non chiedo il permesso, fumo dove non è permesso (Dark Polo Gang e Sfera Ebbasta, Fiori del male – 2016)

Secondo Fischer, questo fenomeno corrisponde a una separazione tra due estremi che può essere osservata nel bipolarismo come caratteristica centrale del tardo capitalismo. Inoltre, questa bipolarità riflette molto bene l’essenza della musica trap: non si nega che potrebbe essere considerata a buon diritto come consumistica, mainstream e intrinseca al tardo capitalismo, ma tuttavia come afferma Jernej Kaluža essa include un potenziale emancipatorio6.

  1. Boym, S. (2001) The Future of Nostalgia, Basic Books.
  2. Bloch, E. (1964) Spirito dell’utopia, La nuova Italia
  3. Jameson F. (1991) Postmodernism, or, the Cultural Logic of Late Capitalism. Duke University Press
  4. Fisher M. (2018) Realismo capitalista, Produzioni Nero, Not, Roma 2018, I
  5. F. Berardi (2013) Dopo il futuro. Dal futurismo al cyberpunk. L’esaurimento della modernità, DeriveApprodi
  6. Kaluža J. Reality of Trap: Trap Music and its Emancipatory Potential, August 2018 Journal of Media Communication & Film 5(1)