“Non ho ucciso l’Uomo Ragno” di Mauro Repetto

Recensione

In Italia, la verità è che tutti si abita in provincia. Tutti no, ma quasi. Se togliamo Milano, Roma e Napoli, la penisola è un complesso di paesi, piccoli borghi, frazioni. Nel migliore dei casi vicino ai grandi centri, nel peggiore ai limiti della desolazione.

Sono fin troppi i musicisti che hanno provato a trarre un’epica, una mitologia, da questa Italia profonda; pochissimi ci sono riusciti, ancora meno coloro che, autenticamente, ne abbiano incarnato lo spirito. Gli 883, invece, ce l’hanno fatta.

In Non ho ucciso l’uomo ragno, Mauro Repetto (“il biondino che ballava”) fa un bilancio di quell’esperienza vissuta da protagonista: dall’esplosione di notorietà agli inizi degli anni Novanta, alla successiva fuga a Miami a rincorrere il sogno americano, fino al “ritorno all’ordine” con la maturità, una moglie e la definitiva sistemazione nella capitale francese come event executive per Disneyland Paris (qui, sfatando un bel po’ di leggende sul suo conto). Un’autobiografia che assomiglia più a un romanzo di formazione.

La storia inizia da quando, tra i banchi del liceo, Repetto incontra un ragazzo più grande di lui di un anno e decide di conquistarlo, farselo amico. Questi, con due occhi a palla e un’abilità naturale nell’arte di raccontare le cose più insolite, ha le sue stesse passioni: le donne, il rock e il rap. Particolare non da poco: fa Pezzali di cognome e non ha, per il momento, nessuna intenzione di prendere un microfono in mano e cantarci sopra. Cambierà idea presto.

La figura di Repetto che emerge da questo racconto (tanto intimo quanto mai retorico, scritto insieme a Massimo Cotto) è quella di un romantico d’altri tempi, un corsaro incosciente, dotato di grande creatività, intraprendente e sfacciato quanto basta, ma dall’indole troppo inquieta per rimanere al suo posto.

Questo lato “maledetto” del carattere sarà decisivo, dopo soli due album, nella scelta di abbandonare tutto, mollare una macchina in corsa che, per come era stata progettata, non poteva condurre da nessuna parte. Il ruolo che si era cucito addosso, quello di comprimario, di ballerino a tre metri dalle performance di Max, rimandava un’immagine di sé che non gli apparteneva e lasciava in ombra le sue aspirazioni, il suo narcisistico desiderio di spiccare.

L’impatto degli 883 fu enorme, difficilmente immaginabile da chi non lo ha vissuto. Il merito fu di alcune figure che, in quegli anni, orientavano il mercato e decretavano il successo di un artista o di una canzone come pochi altri. Claudio Cecchetto (il “Walt Disney italiano”), per esempio. Il quale intuisce il potenziale di due ragazzi inesperti, non particolarmente belli, ma capaci di incarnare quel sogno della provincia cui si accennava all’inizio.

È lo stesso Repetto ad un certo punto ad ammettere: “il bello delle canzoni degli 883 è che raccontavano la nostra vita, il nostro quotidiano, ma anche la vita e il quotidiano di chiunque, perché noi eravamo chiunque”.

È esattamente questo il punto: Mauro Repetto non voleva essere chiunque. Per quanto desiderasse con tutto sé stesso raggiungere il successo, essere acclamato, vendere centinaia di migliaia di dischi, la parte in commedia che ogni giorno sul paco gli toccava interpretare non corrispondeva alla sua “ricerca della felicità”. Paradossalmente, la scrittura di una delle canzoni più amate degli 883, Gli anni (forse il loro apice compositivo), rappresenta il punto di non ritorno.

“Max mi chiede cosa ne penso. Rispondo con il pilota automatico. Perfetto, dico. Niente è perfetto, ma tutto è finalmente, drammaticamente, inesorabilmente chiaro. […] Devo fuggire. Via da tutto. Devo spegnere la televisione, non riesco più a sopportare quella persona che mi assomiglia e che balla tre metri dietro al mio amico. Non voglio fingere di essere felice, perché non lo sono e a nessuno serve un artista triste, soprattutto se sei parte di un duo che vende milioni di copie a disco”.

La fuga negli Stati Uniti, per una modella conosciuta a Milano durante una sfilata di moda, è il pretesto per inseguire il sogno di affermarsi in proprio, tentare la consacrazione là dove tutto accade. Un’illusione, più che altro. Perché da qui in poi la discesa sarà repentina e dolorosa.

Una sceneggiatura di qualità discutibile e respinta da Hollywood; un disco rap sul punto di uscire che naufraga per questioni ai limiti della legalità; infine, il ritorno in Italia, l’uscita dell’album da solista nell’estate del 1995, anch’esso fallimentare, dal titolo Zucchero filato nero (oggetto di culto per gli appassionati), promosso poco e considerato ancor meno.

Quindi la decisione di terminare gli studi e, grazie alla mamma impiegata in un ufficio di collocamento che riceveva molte richieste da Disneyland Paris di lavoratori italiani, inseguire ancora una volta il sogno: questa volta di trasferirsi nella capitale francese e da lì ripartire, senza nulla da perdere, nell’anonimato assoluto.

La nuova vita in Francia, che conduce ancora oggi felicemente con moglie e figli, è la salvezza. L’ennesima dimostrazione di non aver “ucciso l’uomo ragno”, ossia i suoi desideri e, con essa, la consapevolezza di non essere più “invisibile” come accadeva sul palco.

Nel frattempo, con l’ex sodale Max l’amicizia è sempre la stessa. Certo, non si sentono con frequenza. Ma quando sono assieme è come se il tempo non fosse mai passato.

Come nel ’22, con la grande reunion degli 883 e le date di Bibione e San Siro: due concerti evento, andati rapidamente sold out, per festeggiare i trent’anni dal primo disco.

Di nuovo insieme, l’uno accanto all’altro a cantare i pezzi che hanno scolpito l’immaginario di buona parte delle ultime generazioni: Non me la menare, Jolly Blue, Nord sud ovest est, Come mai. Questa volta, però, con una differenza: “Io e Max ci guardiamo. Mi rendo conto che non è mai successo prima. Mai. Lui cantava, io ballavo dietro di lui”. Due amici che, infine, si riconoscono. “Una rinascita”, ammette Repetto. Un motivo sufficiente perché il sogno continui, diciamo noi.

Questo articolo appare anche su Kalporz, per reciproca volontà degli autori ed editori.