Toscanini. La vita, le passioni, la musica – Piero Melograni

Recensione

“Toscanini. La vita, le passioni, la musica” – Piero Melograni, Mondadori, Milano, 2007.

A più di dieci anni dalla morte di Piero Melograni ci sembra giusto colmare il colpevole silenzio mediatico dei molti che lo hanno conosciuto, ricordandone la valenza di straordinario storico, giornalista e divulgatore culturale.

La biografia che nel 2007 dedicò al grande direttore d’orchestra Arturo Toscanini, Toscanini. La vita, le passioni, la musica, riletta oggi che di tempo ne è passato parecchio, è più che mai un perfetto esempio di cosa dovrebbe essere la divulgazione: colta, divertente e raffinata.

I suoi programmi televisivi rappresentavano, nei toni colloquiali e rispettosi di un tempo che ormai appartiene ad un’epoca remota, quanto di meglio si potesse offrire allo spettatore circa l’intrattenimento di qualità, fatto di inchieste, documentari, interviste, spesso di ordine storico e sociale, talvolta con qualche incursione nel mondo del giornalismo, lungamente frequentato dallo stesso Melograni, che fu per anni editorialista del Corriere della Sera.

Nello studio su Toscanini alle vicende private e intime dell’artista si mescolano questioni politiche più ampie, vicende legate all’unificazione nazionale appena raggiunta (nacque a Parma nel 1867) e irrisolti conflitti sociali frutto di diseguaglianze ataviche di un paese, l’Italia, ancora distante dalle moderne società europee.

È in questo contesto che cresce il piccolo Arturo: influenzato dal pragmatismo materno e dalle idee politiche del padre Claudio, si dedica agli studi musicali con impegno e dedizione, mostrando un talento straordinario specialmente a dirigere gli altri più che nella composizione vera e propria, tant’è che abbandonerà questa pratica molto presto.

Appena conseguito il diploma, saranno i più prestigiosi teatri europei e internazionali a mettere a dura prova le capacità di direttore del maestro parmense e, ancora di più, la pazienza dei collaboratori, costretti a sessioni di prove snervanti, attenzioni fuori misura circa ogni dettaglio dell’opera e, più in generale, a mettere in discussione qualunque convenzione legata al teatro lirico.

Toscanini, in questo senso, fu un grande rivoluzionario.

Al Teatro Regio di Torino, allora capitale del Regno d’Italia, furono molte le riforme che apportò, tutte aventi un unico scopo: quello di instillare nei teatri, ancora strutturalmente disorganizzati, una rigida disciplina dove cura e professionalità fossero dei prerequisiti e non rare eccezioni.

Il lavoro di Toscanini fu complessivo e influenzò le prerogative di ogni singola figura e mansione, a partire dalla sua: i direttori d’orchestra stessi erano i primi a commettere abusi, tagliando e aggiustando partiture a loro arbitrio, abitudine invalsa perfino ai danni dei più grandi: Schubert, Beethoven, Gustav Mahler, per citarne solo alcuni.

Ciò che fece Toscanini fu di tornare alla versione originale e ripulire il testo da tutto ciò che era stato inserito successivamente.

“Perfino quando il Festival di Bayreuth lo invitò a dirigere le opere di Richard Wagner, lui, l’italiano che dirigeva a memoria, individuò e corresse lacune ed errori che per decenni erano passati inosservati ai grandi direttori tedeschi succedutisi sul podio di quel grande tempio wagneriano. Altrettanto gli accadde al Metropolitan di New York”.

Altre importanti riforme riguardarono le luci, le scene e i costumi.

“I costumisti di fatto non esistevano ancora, poiché i cantanti si rifornivano alla meglio da un loro personale guardaroba, che conteneva abiti di varie fogge e all’occorrenza scambiavano gli abiti con i colleghi. Non c’erano né i mezzi né le esigenze di oggi”.

Dedizione e cura maniacale dei dettagli, al punto che si poteva vedere lo stesso Toscanini controllare le scarpe dei coristi durante una prova del Falstaff.

Sempre a Torino tentò di abbassare l’orchestra in una speciale fossa, detta “golfo mistico”, simile a quella voluta da Wagner a Bayreuth.

“Lo stesso Verdi si era lamentato del fatto che i contrabbassi, data la loro altezza, formassero una specie di siepe tra la platea e il palcoscenico, disturbando la visibilità dello spettacolo. Al fine di facilitare la visibilità, Toscanini vietò inoltre alle signore del pubblico di indossare in sala i larghissimi cappelli allora di moda. A causa di questo provvedimento si inimicò molte dame”.

Un aspetto al quale non si pensa mai è quello del buio in sala, anch’esso imposto dal direttore d’imperio, ostile com’era ai ritardatari e al pubblico mondano, il quale sovente mostrava maggiore interesse per le scollature provocanti delle signore piuttosto che per quello che accadeva sul palco.

Fu il primo a introdurre questo elemento fondamentale che noi, oggi, associamo a qualsiasi tipo di spettacolo e senza il quale non ci sarebbe il protagonismo degli interpreti né l’attenzione degli spettatori.

“Gravi incidenti scoppiarono al Regio durante il Tristano e Isotta nel 1897 a causa del buio in sala. Una parte del pubblico protestò vivacemente, mentre i wagneriani protestarono contro i protestatari accrescendo la confusione. La direzione fece accendere le luci e Toscanini si infuriò fracassando il lume del suo leggio. Interruppe lo spettacolo e poi riprese a dirigere in modo ostentatamente svogliato. Quel Tristano ebbe appena cinque repliche”.

Il grosso delle riforme si concentrò sulle orchestre, cioè sulla durissima selezione degli orchestrali operata dallo stesso direttore.

“Perfino la Scala non possedeva un’orchestra stabile. Toscanini non accettò questo stato di cose e impose regole molto rigide. Prima di presentarsi al pubblico, i musicisti dovevano provare per giorni e giorni, rifuggendo da ogni improvvisazione. Lui stesso, se avesse dovuto dirigere una sinfonia per la centesima volta, si sarebbe rimesso a studiarla da capo, per trovarci qualcosa di nuovo”.

Insomma, tutte le riforme da lui volute ebbero lo scopo di migliorare la qualità delle esecuzioni e far crescere l’attenzione del pubblico.

“La musica doveva costringere a pensare e non ridursi a mero intrattenimento”. In un momento, come l’attuale, in cui la musica, quantomeno la fruizione di essa da parte del pubblico generalista, è soprattutto intrattenimento, la lezione che ci consegna Toscanini è di un’attualità straordinaria.

Questo articolo appare anche su Kalporz, per reciproca volontà degli autori ed editori.